Ricordo Treviso 8-6-2018

For the 40th anniversary of the La Tribuna di Treviso (Italian Daily) I wrote the piece below:

Published on 8th June 2018
“La Tribuna di Treviso”
Kuki Gallmann

RICORDO TREVISO

“Il Veneto e’ come l’Africa….ci crescono le palme e ci maturano le banane”
Cino Boccazzi
Il Mezzogatto

Treviso: pochi luoghi evocano nei loro abitanti la devozione che i trevigiani, di ieri come di oggi, portano alla loro cittadina annidata a un passo dalle colline, e non lontana dalla Laguna.
Li accumuna un’indole calma, la passione per la letteratura, l’arte, la buona cucina, e un genuino orgoglio di appartenere a un luogo che ha conservato una innocenza e semplicita’ che sono perdute nel mondo odierno.
Non e’ un caso che mio Padre, Cino Boccazzi, anima irrequieta, costantemente alla ricerca di novità, di avventura e dell’ imprevisto, avesse scelto come pausa di riposo e ristoro tra le sue spedizioni, il ritmo tranquillo, e i cenacoli culturali della ‘piccola Atene’.

Treviso infatti attraeva artisti, scrittori, poeti, come Giovanni Comisso e Goffredo Parise e Carlo Conte; esploratori, scalatori di montagne e amanti dell’avventura come Giuseppe Mazzotti: tutti personaggi questi che, quand’ero bambina, frequentavano la nostra casa e animavano le nostre serate. La loro presenza era reale, tangibile, non diluita ancora da masse di turisti come in altre città’ storiche più’ famose. A Treviso si conoscevano tutti.
Lui, Cino, medico chirurgo di professione ufficiale, ma nella vita esploratore di deserti nordafricani, spericolato scalatore di cime impervie, archeologo, scrittore, studioso emerito, lettore instancabile dotato di una cultura eclettica e di una memoria eccezionale- quando ancora le poesie si imparavano e si sapevano recitare, nel periodo precedente le trappole e lusinghe dell’ Internet, viveva a Treviso, dove scriveva scriveva e scriveva: usando una arcaica macchina da scrivere Olivetti- che ogni tanto gli rubavo io.

Era una figura amata e popolare, dotato di un irresistible senso dell’umorismo.
Ci trasferimmo a Treviso qualche tempo dopo il ritorno di mio Padre dall’ ultima guerra, dove aveva servito con coraggio e distinzione come paracadutista prima di unirsi al movimento di liberazione.
Ero cresciuta in un grande giardino di campagna ai piedi del monte Grappa, dove eravamo sfollati, nella tenuta del Nonno materno, vicino alla sua Filanda di seta: e quel periodo della mia primissima infanzia passata all’aperto doveva influenzare il resto della mia vita.
Piu’ di tutto infatti amavo e amo gli alberi, scoprire le piccole vite segrete delle creature che vi si annidano, i torrenti che fluiscono lungo valli dove si corre in discesa: camminare e esplorare. E la mia devozione all’ambiente e alla sua protezione data dalla mia primissima infanzia.

Io percio ‘ricordo la Treviso del dopoguerra e ho per sempre in me l’ immagine inquietante di edifici semicrollati sventrati dalle bombe, con scale fantasma che portavano chissa’ dove, e il colore di ruggine delle tegole al tramonto, quando scorazzavo all’ insaputa apparente- ma con la tacita approvazione dei miei genitori, con una piccola banda di ragazzini sui tetti di una certa parte della citta’.
Manco da li’da oltre cinquant’anni: ma vedo ancora con gli occhi della mia mente i filari di ippocastani e i vecchi edifici a un piano lungo un ramo minore del Sile, appollaiati su portici coperti di rampicanti.

Per scrivere questo pezzo ho rivangato la mia memoria: mi vengono allora in mente i dettagli della piccola, elegante Treviso,- cosi’ come era nei lontani tempi della mia infanzia, – col suo centro storico, dove si camminava solo a piedi, dominato dal Palazzo dei Trecent che si affacciava sulla Piazza dei Signori -racchiusa dalle sue antiche Mura coperte di ghiaino, sotto le cui antiche Porte passava un lento traffico di biciclette e rare automobili. Ricordo il dedalo di viuzze che sembrano calli, l’ isola della Pescheria, la loggia dei Cavalieri con le bancarelle di libri usati che esploravo con mio Padre alla ricerca di tesori: i vocii allegri dalle osterie nelle sere di maggio, mentre centinaia di campane da dozzine di Chiese rintoccavano il vespro, e io spesso correvo lungo le tortuose scorciatoie – passato Calmaggiore- nel retro del Duomo, per scendere – alla sinistra dell’altar maggiore, I gradini di marmo consunti da generazioni di fedeli, dove aggiungevo Ie mie piccole orme alle mille invisibili tracce che vi si erano succedute nei secoli- per raggiungere le sue cavernose cripte sotterranee ed esplorarne le nicchie baluginanti di candele votive.

Mio padre ed io nelle sere di primavera camminavamo con i nostri cani lungo quelle sponde e lungo il canale dei Buranelli coi suoi antichi, lenti mulini che funzionavano ancora.
Mio padre mi aveva insegnato non a’ guardare’ ma a osservare’ e a ‘ vedere’- un dono senza prezzo, e anche per questo gli saro’ sempre grata.
E fu durante una di quelle passeggiate vespertine, che io scoprii, semisommerso nella melma grigia di un isolotto affiorante uno strano oggetto.
Mi fermai di colpo, e glielo indicai. La sua rapida occhiata di approvazione fu per me come una medaglia al valore.
” E’ tuo” mi disse , un lampo di complicità’ nei suoi occhi grigioverdi” prendiamolo!”.
Avevo forse sette anni.

Con una lunga pertica, trovata non mi ricordo dove, mio Padre riusci’ a estricarlo e a trascinarlo a riva: lo ripulimmo dal fango e apparve come per magia per la mia meraviglia, un grande candelabro rinascimentale di marmo rosa, le venature offuscate dai secoli, e i piedi ornati come foglie di alabastro bianco. Forse un tempo adornava un altare.
Ora- mi ha seguita in Africa- e’ posto su una mensola di legno lungo una vetrata che si affaccia sul mio giardino di Nairobi: e la sua storia segreta non l’avevo mai raccontata fino ad ora.

Kuki

(copyright Kuki Gallmann)

Read here the original article:
Ricordo Treviso – La Tribuna di Treviso



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